mercoledì 14 aprile 2010

L’ACQUA NON SI VENDE

SI E’ COSTITUITO IL COMITATO REFERENDARIO CITTADINO
Martedì sera, dopo una lunga e partecipata assemblea, si è costituito il comitato referendario cittadino per l’acqua pubblica con l’obiettivo della raccolta firme per i tre quesiti con i quali i cittadini italiani chiederanno al governo la ripubblicizzazione dell’acqua.
L’assemblea ha visto la partecipazione di oltre 30 persone a rappresentanza di associazioni, movimenti, forze ed organizzazioni politiche, sindacati ma anche una viva presenza di singoli cittadini interessati a dare il proprio contributo alla riuscita della campagna referendaria.
Sotto lo slogan “L’ACQUA NON SI VENDE” in tutt’Italia il 22 aprile partirà la raccolta firme per porre un argine alle attuali leggi che, di fatto, hanno messo nelle mani dei privati un bene comune come l’acqua sul quale nessun profitto è consentito. Ma perché un referendum? Perché l’acqua è un bene comune ed un diritto umano universale. Un bene essenziale che appartiene a tutti e nessuno può appropriarsene e farci profitti. Perché vogliamo togliere l’acqua dal mercato per conservarlo alle future generazioni. E’ una battaglia di civiltà che, una volta raggiunto l’obiettivo delle firme, ci permetterà di rimettere nelle mani delle comunità locali un bene comune preziosissimo che solo una gestione democratica e dal basso può preservare dalle logiche del profitto.
Vediamo nel dettaglio i tre quesiti referendari:
PRIMO QUESITO: fermare la privatizzazione dell’acqua Si propone l’abrogazione dell’art. 23 bis (dodici commi) della Legge n. 133/2008 , relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica. È l’ultima normativa approvata dal Governo Berlusconi. Stabilisce come modalità ordinarie di gestione del servizio idrico l’affidamento a soggetti privati attraverso gara o l’affidamento a società a capitale misto pubblico-privato, all’interno delle quali il privato sia stato scelto attraverso gara e detenga almeno il 40%. Con questa norma, si vogliono mettere definitivamente sul mercato le gestioni dei 64 ATO (su 92) che o non hanno ancora proceduto ad affidamento, o hanno affidato la gestione del servizio idrico a società a totale capitale pubblico. Queste ultime infatti cesseranno improrogabilmente entro il dicembre 2011, o potranno continuare alla sola condizione di trasformarsi in società miste, con capitale privato al 40%. La norma inoltre disciplina le società miste collocate in Borsa, le quali, per poter mantenere l’affidamento del servizio, dovranno diminuire la quota di capitale pubblico al 40% entro giugno 2013 e al 30% entro il dicembre 2015. Abrogare questa norma significa contrastare l’accelerazione sulle privatizzazioni imposta dal Governo e la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici in questo Paese.

SECONDO QUESITO: aprire la strada della ripubblicizzazione Si propone l’abrogazione dell’art. 150 (quattro commi) del D. Lgs. n. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), relativo ala scelta della forma di gestione e procedure di affidamento, segnatamente al servizio idrico integrato. L’articolo definisce come uniche modalità di affidamento del servizio idrico la gara o la gestione attraverso Società per Azioni a capitale misto pubblico privato o a capitale interamente pubblico. L’abrogazione di questo articolo non consentirebbe più il ricorso né alla gara, né all’affidamento della gestione a società di capitali, favorendo il percorso verso l’obiettivo della ripubblicizzazione del servizio idrico, ovvero la sua gestione attraverso enti di diritto pubblico con la partecipazione dei cittadini e delle comunità locali. Darebbe inoltre ancor più forza a tutte le rivendicazioni per la ripubblicizzazione in corso in quei territori che già da tempo hanno visto il proprio servizio idrico affidato a privati o a società a capitale misto.

TERZO QUESITO: eliminare i profitti dal bene comune acqua Si propone l’abrogazione dell’’art. 154 del Decreto Legislativo n. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), limitatamente a quella parte del comma 1 che dispone che la tariffa per il servizio idrico è determinata tenendo conto dell’ “adeguatezza della remunerazione del capitale investito”. Poche parole, ma di grande rilevanza simbolica e di immediata concretezza. Perché la parte di normativa che si chiede di abrogare è quella che consente al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio. Abrogando questa parte dell’articolo sulla norma tariffaria, si eliminerebbe il “cavallo di Troia” che ha aperto la strada ai privati nella gestione dei servizi idrici, avviando l’espropriazione alle popolazioni di un bene comune e di un diritto umano universale. In città la raccolta firme partirà sabato 25 aprile. È una battaglia di civiltà. Nessuno si senta escluso!

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